Uno degli aspetti più importanti della revisione della nostra traiettoria è che ci ha aiutato a dare un passo in più nella comprensione della natura della Ricostituzione e del suo significato come processo politico, nella conoscenza di ciò che ne abbiamo fra le mani come distaccamento d’avanguardia e nella nostra attività politica come attività cosciente, guidata dalla coscienza rivoluzionaria. In questo processo ne abbiamo compreso meglio gli ostacoli di tipo ideologico e politico che appaiono nel sentiero della Ricostituzione, allo stesso modo che la natura dei mezzi necessari per la loro superazione. E la riflessione sull’ambiente ideologico che circonda la Ricostituzione del Partito Comunista ci conduce, finalmente, di fronte alla questione della sua ubicazione come processo storico.
Abbiamo iniziato questo documento descrivendo la nostra situazione come distaccamento d’avanguardia organizzato dell’avanguardia ideologica immerso in un processo di ricapitolazione e bilancio attorno alla capacità e il grado del compimento dei compiti politici che ne derivano dal Piano di Ricostituzione. Di seguito, abbiamo introdotto una valutazione storica sulla trasformazione di alcuni requisiti socio-politici nelle premesse del ciclo rivoluzionario in comparazione con quello di Ottobre e dal punto di vista del soggetto politico rivoluzionario, fondamentalmente quelli legati alla costituzione politica qualitativamente più elevata dell’avanguardia rivoluzionaria (come Partito Comunista e non soltanto come avanguardia teorica) come presupposto necessario per l’inizio del nuovo ciclo. Il resto del testo, in alcun modo, non è altro che la considerazione e, per quanto possibile, una descrizione dei mezzi e degli strumenti necessari -compresa anche la rettificazione di quelli inadeguati- che ci permettano di passare dalle nostre attuali tribolazioni fino al compimento di quei nuovi requisiti che sono condizione per l’apertura del nuovo ciclo rivoluzionario. Riprendiamo, quindi, quella problematica storica e teorica che cercava di definire la forma qualitativamente superiore di unità fra la teoria d’avanguardia e il movimento sociale come partito di nuovo tipo proletario , oppure, in altri termini, la forma che la coscienza rivoluzionaria del proletariato adotta come espressione soggettiva dell’autocoscienza dell’essere sociale in processo di autotrasformazione; però, in questa occasione, non adotteremo il punto di vista oggettivo, cioè, quello che si posiziona di fronte a quel processo di fusione teoria-pratica che culmina nel Partito Comunista dalla contemplazione esterna del suo sviluppo dialettico, bensì dal punto di vista soggettivo, che osserva quello svolgimento internamente dalla posizione del soggetto cosciente, dalla considerazione dell’itinerario percorso dalla teoria in quell’evoluzione. La contraddizione, quindi, fra coscienza ed essere nel suo svolgimento fino alla sua piena risoluzione, considerando così l’essere sociale come un fattore indipendente e prestando attenzione al processo nella coscienza. Si tratta, in definitiva, delle diverse posizioni che va adottando la coscienza nella sua relazione dialettica con l’essere sociale fino a raggiungere la loro forma superiore di unità .
“ La contraddizione viene ordinariamente allontanata, in primo luogo, dalle cose, da ciò che è e dal vero in generale; si afferma, che non v’è nulla di contraddittorio. Essa vien poi anzi rigettata sulla riflessione soggettiva, che sola la porrebbe col suo riferire e comparare. Ma propriamente non si troverebbe nemmeno in questa riflessione, perché il contraddittorio, si dice, non si può né rappresentare né pensare. La contraddizione vale in generale, sia nella realtà, sia nella riflessione pensante, come un’accidentalità, quasi un’anomalia e un transitorio parossismo morboso.”1
In questa citazione Hegel ci mostra la prima forma, quella più primitiva, della contraddizione fra l’essere e la coscienza. Qui, non si riconosce la contraddizione come qualcosa di oggettivo, ma soltanto come la posizione negativa, critica , del soggetto nei confronti dell’oggettività. La contraddizione è, quindi, al massimo, la negazione soggettiva della coscienza rispetto alla realtà. Questa è, in generale, la base gnoseologica del criticismo moralista che dominò nel corso dei secoli le scuole del pensiero non religioso, dai greci classici fino a Kant; dunque, uno degli strumenti configuratori della falsa coscienza che dominò tutte le società storiche, compresa quella borghese. In particolare, dal punto di vista del pensiero sociale, costituisce, inoltre, la base del pensiero di tutti i riformatori utopistici, dagli umanistici (Moro, Campanella…) fino i socialisti del XIX secolo (Cabet, Owen, Fourier, Saint Simon…). È sotto questi parametri che, certamente, si svolge l’attività critica dell’intellettualità borghese. La loro caratteristica principale prevede un modo di pensiero antidialettico, dogmatico: non concepisce la realtà in movimento, come un flusso di contraddizioni, ma in modo statico; la contraddizione non è un attributo dell’oggettività, bensì una attività “transitoria” della soggettività. Non c’è bisogno di dire che, qua, il pensiero e il mondo sono estranei fra di loro, la loro relazione è totalmente esterna e le loro influenze reciproche sono completamente inassimilabili rispettivamente. Da questo modo di pensiero, qualsiasi iniziativa pratica soggettiva che ne abbia la finalità di trasformare in alcun modo la realtà oggettiva è destinata al fallimento per principio. Quest’attività rimane così racchiusa nei limiti della critica soggettiva .
I limiti della critica soggettiva cominciano ad essere superati dopo l’introduzione del ragionamento dialettico, soprattutto con Hegel, il quale attribuisce la contraddizione al mondo oggettivo come la sua principale caratteristica. La realtà, quindi, si trova in movimento permanente. Il compito della coscienza, allora, è quello di apprendere le contraddizioni oggettive con il fine di conoscere e comprendere il divenire storico. Però, purtroppo, in Hegel il soggetto cosciente rimane sommerso nella dialettica del movimento oggettivo, e di conseguenza non esiste nessuna attività pratica soggettiva indipendente da quel movimento; la realtà è concepita come il movimento oggettivo dell’Idea, è non c’è posto per un’altra possibilità pratica che non sia quella che indica la strada di quel movimento alla luce della soluzione delle sue contraddizioni interne; l’attività soggettiva è contemplata come processo di autoconsapevolezza dell’essere oggettivo; ogni pratica soggettiva, compresa quella critica, scompare nella valanga della totalità oggettiva, nel cammino dell’Assoluto verso la sua autocoscienza.
La contraddizione del metodo dialettico di Hegel e il suo sistema filosofico, che giustifica aeternum l’esistenza delle più oppressive istituzioni dello Stato prussiano, motivò la critica dei suoi successori, che non rinunciarono, peraltro, a muoversi dentro i parametri del pensiero hegeliano. La critica più fruttifera fu quella svolta dai cosiddetti giovani hegeliani (o sinistra hegeliana ), movimento cappeggiato da Feuerbach in cui si trovava un giovane renano chiamato Karl Marx. Anche se fra di loro esistono sottili differenze per le problematiche che affrontano e, soprattutto, per ciò che ciascuno risalta del maestro, il movimento giovanehegeliano si caratterizza dal fatto che riscatta l’autonomia dell’attività soggettiva dall’oceano hegeliano dell’essere oggettivo in cui si trovava sommersa, poiché riprende l’attività della coscienza come attività critica, e non soltanto quella cognitiva pura. Però, questa volta, non si tratta di ricuperare la critica soggettiva ; al contrario, la posizione della coscienza è adesso critica perché si dirige verso l’essere dal di fuori, lo contempla come oggetto esterno, ma non come contraddizione, bensì come soggetto contemplativo; la contraddizione è riconosciuta, comunque, al modo hegeliano, come attributo del movimento oggettivo della realtà. Si tratta, in definitiva, di una critica oggettiva , in cui l’attività soggettiva è l’attività intellettuale di apprensione della contraddizione oggettiva e di sorveglianza (critica) per la materializzazione reale di ciò che la dialettica oggettiva impone come necessità nel suo movimento. Il ruolo della coscienza è quindi quello di chiarire, tramite la penetrazione nell’essenza della sua natura dialettica, che ogni forma ed ogni fase del movimento reale sono momenti necessari dello sviluppo dell’essere, e quindi che devono essere realizzati nella pratica contro qualsiasi opposizione. La critica oggettiva veglia sullo svolgimento dell’essere nel suo divenire. In parole di Feuerbach, la critica doveva restituire la verità alla realtà.
Questo è il punto di partenza del pensiero del giovane Marx. La critica oggettiva che comincia a praticare, fra il 1842 e il 1843, come attivista letterario in quelle pagine di quel “organo della democrazia” -come dichiarava la sua intestazione- che era la Gazzetta Renana , è una filosofia critica . I giovanihegeliani , in un principio, concepivano la Filosofia al modo di Hegel, ossia, con la maiuscola: La Filosofia era il riflesso intellettuale dell’Essere, ovvero, l’espressione della Ragione, la sentinella che sorvegliava la realizzazione della razionalità nel mondo. Il movimento giovanehegeliano era nato precisamente come un movimento critico dalla costatazione del fatto che alcune manifestazioni terrene hegeliane dello Spirito o della Ragione non erano, in realtà, molto ragionevoli. La critica oggettiva allontanò poco a poco questo movimento dalla Filosofia. Il primo in farlo fu Feuerbach, il quale, nella sua critica della religione cristiana -fondamenta dello Stato prussiano legittimato da Hegel-, aveva sperimentato una svolta umanistica nel suo pensiero che lo condusse a proporre la riduzione della Filosofia in una Antropologia. Marx, da sua parte, centra di più la sua attenzione sullo Stato e le questioni che lo circondano, proponendo nei suoi articoli giornalistici riforme delle leggi e delle pratiche politiche presumibilmente estranee alla Ragione. Naturalmente, l’impresa del giovane Marx nella Gazzetta Renana risultò un vero fallimento. Lo Stato prussiano non soltanto non ne ascoltò i consigli della sua filosofia critica, ma anche procurò la chiusura del giornale e l’esilio del suo direttore. Lo smantellamento della Gazzetta fu, per Marx, il fallimento ideologico della Filosofia come critica orientatrice della pratica, e, nell’ambito politico, e visto che aveva dimostrato chiaramente preoccupazioni di carattere democratico-popolari nei suoi articoli (nei quali aveva criticato attacchi perpetrati contro i settori popolari da parte delle classi possedenti), la sua rottura con la borghesia.
Nel suo esilio di Parigi, fra gli anni 1843 e 1845, ci troviamo un Marx che inserisce nella sua problematica filosofica tradizionale l’influenza del socialismo materialista francese con tratti dell’umanismo universalista feuerbachiano. Marx scopre il proletariato e vede in lui l’istrumento capace di concretizzare la razionalità nel mondo. Nel nuovo organo del comunismo appena abbracciato, gli Annali franco-tedeschi , scrive agli inizi del 1844:
“ Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali, e una volta che il lampo del pensiero sia penetrato profondamente in questo ingenuo terreno popolare, si compirà l'emancipazione dei tedeschi a uomini.”2
Però, pur dichiarando Marx la sua professione comunista, il suo pensiero è ancora borghese, ideologicamente non ha rotto ancora con la borghesia (e questa simbiosi bastarda non può risultare in altra cosa che un programma di carattere comunista utopico). Questa evoluzione si manifesta nel passo che fa Marx dalla critica oggettiva verso la critica politica (o filosofia dell’azione , che non è altro che lo sviluppo della filosofia critica). Come ne aveva dimostrato la sua esperienza, le innovazioni della Ragione non erano sufficienti per una pratica razionale, la forza delle idee non bastava per poter ordinare il mondo, per cui il soggetto cosciente doveva mettere piede nel terreno della politica per trovare gli strumenti pratici che avessero permesso la realizzazione di quel progetto. Marx credette di aver trovato quel strumento nel proletariato. Però, qua, esso era soltanto un intermediario: non è né il soggetto cosciente (posizione che Marx riserva ancora soltanto per l’intellettualità) né l’oggetto della trasformazione (che, per Marx, è l’umanità come concetto, l’umanità in astratto), è quindi soltanto l’“arma” della teoria perché la coscienza concretizzi oggettivamente il prodotto dell’attività soggettiva. Anche se Marx avanza dal punto di vista della pratica come prodotto della teoria (critica oggettiva) verso la presa di coscienza della necessità di un’unione fra teoria e pratica (critica politica), vede ancora quest’unione non come fusione , ma come alleanza , osserva ancora la critica intellettuale e il movimento materiale in modo separato come unità esterna, si muove ancora dentro i parametri dell’influenza che su di lui esercitava Feuerbach, il quale aveva detto che la filosofia è la testa e il popolo il cuore , cioè, dentro dei parametri del pensiero borghese. La rottura di Marx con il pensiero borghese3 avrà luogo quando ne culmini una rivoluzione concettuale che conformerebbe un nuovo marco di pensiero, e, di fatto, l’inaugurazione di una nuova concezione del mondo. Questo nuovo marco cosmologico implica un nuovo cambio di posizione della coscienza nel pensiero marxiano, posizione che diverrebbe la prima caratteristica che contraddistingui il pensiero proletario da qualsiasi delle forme del pensiero borghese. Questa rivoluzione nel pensiero di Marx è principalmente di carattere materiale; ossia riguarda, soprattutto, il contenuto dei postulati teorico-concettuali fondamentali che servono di base per la coscienza. Naturalmente, il nuovo corpus teorico che ordina Marx non appare all’improvviso, ma piuttosto ne è un prodotto di quell’evoluzione filosofica e della sua pratica criticista, che -nel contesto di una permanente pratica come ambiente di contrasto dei risultati teorici- rese possibile tale evoluzione, e che in virtù della quale furono distillati progressivamente i nuovi concetti e le nuove categorie teoriche che, radunate criticamente, permisero in un momento particolare il salto qualitativo necessario per configurare il nuovo sistema di pensiero. Così, partendo dalla critica della filosofia di Hegel -principalmente attraverso risultati della sua Critica della Filosofia del Diritto di Hegel -, fino L’ideologia tedesca -cioè, fra 1843 e 1846-, passando per l’assimilazione del materialismo attraverso lo studio del socialismo francese e dell’economia politica inglese ( Manoscritti di Parigi , che sono anche la continuazione della critica di Hegel) e del materialismo ingenuo e dell’umanesimo astratto di Feuerbach ( Tesi su Feuerbach ), Marx effettuerà la sintesi teorica che servirà di base per la nuova concezione del mondo.
Sono tre gli assi teorici sui quali si costruisce il nuovo modo di pensare. In primo luogo, il concetto di prassi . Questo termine non fu coniato da Marx, bensì a postumi da alcuni studiosi del suo pensiero con il fine di descrivere la concezione che ne riuscì a elaborare sulla pratica, o, più in concreto, sulla relazione teoria-pratica. A differenza del vocabolo pratica , che è definito per la sua opposizione alla teoria, la prassi è pratica fusa con la teoria, come unità di contrari dove la pratica rappresenta l’aspetto principale. Di fronte alle forme premarxiste (borghesi) della relazione teoria-pratica -cha ne abbiamo ripassato brevemente-, la prassi espressa la forma superiore, perché rappresenta quella relazione come unità dialettica. La rottura con Feuerbach e il movimento giovanehegeliano (resa pubblica nel 1845 con l’opera scritta con la collaborazione di Engels, La sacra famiglia ), sommata al contatto con l’industrializzazione e con il combattivo proletariato che si stava sviluppando in Francia ed Inghilterra, portarono Marx ad abbandonare ogni pizzico di idealismo ed a considerare la coscienza come attività soggettiva pratica , il che comportava effettuare un rivoluzionario giro filosofico basato nel pensare la coscienza non più come prodotto della teoria, bensì come riflesso della pratica .
In un primo momento del processo che conduce Marx fino il concetto di prassi , la pratica acquisisce una nuova importanza ed un peso maggiore nel suo pensiero, come risultato dell’impressione che su di lui aveva fatto la comprovazione del potere materiale della sfera economia, concretizzata nella sua filosofia come lavoro . Nei Manoscritti del 1844, il lavoro è già considerato come il vincolo fondamentale fra l’uomo e la natura e la base del carattere sociale di quello, ma domina ancora un concetto sostanzialista dell’uomo ed una stimazione astratta di quella relazione (idealismo):
“ L'essenza umana della natura esiste soltanto per l'uomo sociale : infatti soltanto qui la natura esiste per l' uomo come vincolo con l' uomo , come esistenza di lui per l'altro e dell'altro per lui, e così pure come elemento vitale della realtà umana, soltanto qui essa esiste come fondamento della sua propria esistenza umana. Soltanto qui l'esistenza naturale dell'uomo è diventata per l'uomo esistenza umana ; la natura è diventata uomo. Dunque la società è l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanismo compiuto della natura.”4
Dall’altra parte, il lavoro , capito come attività umana essenziale, è affrontato, comunque, in maniera astratta ed è utilizzato come asse per l’approccio ad un problema di marcato carattere feuerbachiano: l’ uomo alienato .
“ Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo , come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l' oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e asservimento dell'oggetto , l'appropriazione come estraniazione , come alienazione .”5
Marx contempla il capitalismo come se fosse una società di uomini alienati o “estraniati” perché l’impero della proprietà privata espropria i produttori il frutto del loro lavoro, in cui il giovane Marx vede la proiezione (oggettivazione) sociale dell’uomo -e, per tanto, la sua vera umanizzazione - che parte dalla sua relazione economica con la natura. È da questa posizione teorica che il Marx comunista utopico del 1844 rivendica l’abolizione della proprietà privata come il mezzo per superare la schiavitù del lavoro alienato e restituire la vera natura umana del lavoro: il lavoro libero . Però, da questa rivendicazione, Marx non difende ancora una posizione di classe proletaria, bensì democratica, piccoloborghese. Effettivamente, l’ uomo alienato non è altro che la trasfigurazione idealista del produttore individuale, e la problematica del lavoro estraniato , con la sua critica anticapitalista, non è che la manifestazione teorica della crisi dell’economia mercantile di fronte allo sviluppo del capitalismo; allo stesso modo, la relazione astratta, quasi bucolica, fra l’uomo e la natura dalla quale ne parte Marx per spiegare la società, si posiziona nella stessa linea di pensiero che gli ideologhi liberali del XVIII secolo; persino l’idea del passo dell’umanità da un presunto stato primitivo naturale fino al suo stato sociale ( veramente umano) tramite il lavoro, che serve come tela di fondo per le argomentazioni marxiane nei Manoscritti , si trova ormai in Locke. Non ce n’è dubbio che Marx studiò, nel suo esilio parigino, gli autori britannici, tanto economisti come politici, e lasciò sentire la loro influenza nell’evoluzione del suo pensiero; allo stesso modo che no ce n’è dubbio neppure, che non soltanto Marx abbandonerebbe da solo queste posizioni teoriche e politiche molto presto, ma che, posteriormente, criticherebbe duramente coloro che le difendevano.
Marx realizza il passo verso la prassi quando ne riesce a riunire ed ordinare i diversi elementi risultanti dalla sua critica in modo che essi esprimano una nuova visione del mondo. In particolare, Marx arriva a concepire sul particolare la relazione dell’uomo con la natura come qualcosa di materiale, come produzione dei suoi mezzi di vita ; analogamente, supera la nozione astratta del lavoro tramite la comprensione del fatto che la riproduzione dei mezzi di vita dell’uomo soltanto può essere capita pienamente come produzione sociale , e, finalmente, scarta l’uomo universale di natura razionale per descriverlo poi come un insieme di relazioni sociali , precisamente, quelle che generano gli uomini quando si organizzano per produrre i loro mezzi di vita. Con questo quadro concettuale Marx riesce a formulare per prima volta una concezione materialista coerente del mondo e l’uomo e, per tanto, una concezione scientifica della realtà sociale. Il concetto di prassi riassume adeguatamente la sintesi di questo nuovo corpo dottrinale poiché esprime il luogo che ne occupa la coscienza nella nuova concezione scientifica del mondo, vale a dire, come riflesso intellettuale delle relazioni sociali , come proiezione soggettiva dell’attività materiale dell’uomo organizzato socialmente per produrre i suoi mezzi di vita, o, se si vuole, come aspetto soggettivo della pratica . Finalmente, la dialettica della prassi si basa sul fatto che il modo della coscienza soltanto esprime il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di vita, e sul fatto che ad ogni modo di produzione ne corrisponde uno stato di coscienza; ovvero, la coscienza è un’espressione di un’attività pratica soggettiva. Questa attività del soggetto cosciente, che in Hegel ne aveva soltanto un carattere contemplativo ed era sottomessa al movimento oggettivo dell’essere, in Marx ricupera la sua autonomia soggettiva, non più come attività critica pura e staccata dalla oggettività, come nei giovani hegeliani , ma come attività pratica che ne diventa un attributo in più del movimento materiale oggettivo della società , cioè, si incorpora in esso come la parte soggettiva della sua materialità, come momento soggettivo necessario del movimento oggettivo della società. Essere (società) e coscienza, in definitiva, conformano un’unità materiale in corrispondenza con il modo di vita degli uomini. Dal concetto di prassi , finalmente, dalla idea di unità materiale dell’essere e coscienza, sorge la nuova concezione del mondo marxista come coronamento logico:
“ Essa non deve cercare in ogni periodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma resta salda costantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall’idea, ma spiega le formazioni di idee partendo dalla prassi materiale, e giunge di conseguenza anche al risultato che tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellettuale [...], ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ogni altra teoria.”6
Marx ha rotto quindi, con il pensiero critico inteso come attività indipendente della coscienza, cioè, con il pensiero borghese. Ha ultimato la sua rottura politica con la rottura ideologica con la borghesia . Marx mette adesso i piedi nel terreno del pensiero proletario.
Il secondo asse della concezione marxista del mondo è una derivazione dell’idea di prassi ; anzi, è il risultato della sua applicazione teorica. Effettivamente, una volta definito il punto di partenza materialista scientifico, Marx spiega lo sviluppo della storia da questo nuovo punto di vista. Il risultato è il materialismo storico , o se si desidera, la prima esposizione del materialismo dialettico sotto la forma di sintesi geniale dello sviluppo della storia dell’umanità. Il materialismo storico, per dirlo così, è il dispiegamento della prassi , l’esposizione storica della permanente trasformazione (rivoluzionarizzazione) del mondo -dell’uomo, della natura e della società- tramite l’attività produttiva.
Dalla sua concezione materialista della storia, Marx ci mostra l’impossibilità d’imporre i desideri soggettivi sul corso degli avvenimenti, che ne susseguono necessariamente in funzione di condizioni materiali reali, l’impossibilità di presentare programmi riformisti elaborati tramite la coscienza critica delle leggi della storia, che non esiste un’opzione fra essere e dover essere che permetta la sostituzione di quello per questo, ma che entrambi ne sono una e la stessa cosa dal punto di vista delle tendenze storiche. La chimera feuerbachiana del Marx dei Manoscritti che voleva sostituire il lavoro alienato per il lavoro libero è, allora, assurda, idealista.
Il materialismo storico mostra anche che l’umanità non esiste come entità astratta, ma come realtà concreta socialmente determinata. E questa determinazione è l’uomo come zoon politikón , come animale politico , come entità sociale. L’uomo quindi, è prodotto della sua epoca e delle relazioni sociali che ne ha generato il suo modo di produrre le proprie condizioni d’esistenza. L’uomo, così, soltanto si presenta nella storia come schiavo, servo, signore, borghese o proletario: in modo reale e concreto, mai da una presupposta e astratta umanità essenziale pura. Marx ci mostra, in questo modo, il corretto cammino per presentare adeguatamente il problema dell’emancipazione umana , che è il problema di fondo che motiva l’evoluzione del suo pensiero . Marx porta a termine una rottura concettuale con il suo passato filosofico e, si potrebbe dire, con tutta la filosofia precedente, una rottura concettuale che lo porta fino alla formulazione di una nuova concezione del mondo, concezione che è, inoltre, militante, che ne ha una chiara vocazione partitista e si dichiara apertamente classista; però tutto questo non è altro che il modo in cui Marx risolve interroganti di portata universale, precisamente i grandi interroganti che ogni filosofia precedente ne aveva presentato e che soltanto con lui trovano risposta. Il pensiero marxiano è, in origine, universalista, razionalista, e umanista, poiché affonda le proprie radici negli strati più solidi del pensiero occidentale, dal classicismo greco fino alla scuola idealista tedesca, passando per l’umanesimo rinascimentale e l’illuminismo francese. Tutte le correnti del pensiero che pongono l’uomo al centro delle loro riflessioni, che ne trattano di spiegare la sua posizione nel mondo e di distinguere il suo modo di comportarsi trovano in Marx loro ultimo grande esponente; e tutti i problemi che quelle scuole intendevano come essenziali, trovano in Marx la loro risposta. Ed è la ricerca delle risposte ai grandi problemi che l’umanità ne aveva formulato ciò che conduce Marx fino alla nuova concezione del mondo. Marx non si distacca mai dai problemi di fondo che lo portarono all’attività filosofica e politica, anche se è costretto, per risolverli, a dare un salto epistemologico, nella teoria, ed un cambio della sua posizione di classe, nella politica. Però, il motivo di queste trasformazioni non sarebbe mai, ad esempio, quello di cambiare il problema dell’emancipazione dell’umanità per quello della classe operaia (il che comporterebbe la precipitazione in una forma di operaismo , errore molto frequente nella storia del movimento comunista internazionali). Al contrario, il grande insegnamento del materialismo storico è che, precisamente, il movimento necessario della storia lascia aperta la possibilità , in un determinato momento, di sollevare in un modo realista il problema dell’emancipazione dell’umanità in maniera tale da poter essere risolto dalle premesse sociali e materiali che ne consentano che quell’emancipazione sia qualcosa in più che una chimera idealista, sempre che si tengano in conto le proprie leggi dello sviluppo sociale, vale a dire, sempre che queste non siano sostituite da vani proietti critici-utopici con pretensioni scientifiche. Ma non affrettiamo i tempi e ricapitoliamo.
Ne abbiamo la coscienza concepita come attributo della materia, in unità dialettica con la pratica reale, come momento necessario del movimento sociale ( prassi ); e ne abbiamo inoltre l’applicazione di questo punto di vista su tutta la storia dell’umanità (materialismo storico). Però questo dispiegamento della prassi comporta un ripiegamento della coscienza, nel senso che quest’ultima esperimenta una specie di raddoppiamento che, tutto sommato, implicherà un regresso verso posizioni criticiste, una certa rottura nell’unità dialettica raggiunta dalla coscienza e la pratica sociale. E ne parliamo di raddoppiamento poiché questa rottura ha due versanti: in primo luogo, la coscienza di sé , cioè, la rappresentazione ideologica che di sé stessa ne ha ciascuna di quelle forme sociali che conformano lo sviluppo storico. Marx sottolinea che, in ogni società, l’ideologia dominante è l’ideologia della classe dominante 7. La coscienza di sé , per tanto, è la falsa coscienza . Falsa perché non rispecchia la totalità della pratica sociale, la totalità del processo di produzione sociale e dell’insieme di relazioni sociali, bensì soltanto la parte delle stesse che permette la loro riproduzione nei termini di conservazione, occultando, precisamente, quelle forme e tendenze che permetteranno la rivoluzionarizzazione di quel modo di produzione sociale e che ne diventano evidenti attraverso la lotta di classi. Però, assieme alla falsa coscienza (o coscienza di sé ), il materialismo storico offre anche la sua critica, la critica della falsa coscienza . Di fronte a ciò che ne pensano tutte le società di sé stesse come riflesso spontaneo della loro pratica sociale, il materialismo storico offre anche la comprensione scientifica del loro sviluppo oggettivo e, per tanto, la possibilità di conoscere le tendenze della loro evoluzione e posteriore trasformazione in formazioni sociali nuove. Tuttavia, questo comporta il ritorno della coscienza alla posizione della critica oggettiva , e, di conseguenza, la scissione, di nuovo, fra teoria (coscienza critica) e pratica (processo sociale capace di rispecchiare soltanto una coscienza spontanea). Tra l’altro, questa è la posizione che adottano gli storici, sociologhi, economisti e gli altri studiosi delle forme sociali -o di alcune delle loro sfere- passate e presenti: il marxismo soltanto come metodo critico d’investigazione scientifica della società, il metodo marxista configurato soltanto come strumento epistemologico critico-contemplativo dell’essere sociale; insomma, nella misura in cui l’unità interna del concetto di prassi (fusione teoria-pratica) ritorna ad essere scissa, una pratica gnoseologica che si regge da un canone borghese.
Però, la caratteristica più importante del processo sociale consiste che nel suo sviluppo, in un determinato momento storico, riescono a coincidere la coscienza di sé stesso, che ottiene l’essere sociale, e la coscienza critica , che analizza le tendenze e le possibilità oggettive del suo sviluppo e della sua trasformazione rivoluzionaria. Questo è il momento della comparsa del proletariato nella storia. Il proletariato è la classe sociale storicamente determinata che può farsi un’idea, grazie alla coscienza critico-oggettiva, della sua posizione sociale e del suo ruolo storico come soggetto rivoluzionario (coscienza di sé ) che non è più una falsa coscienza , ma il riflesso soggettivo concordante con la direzione oggettiva del processo sociale. Quando la coscienza di sé coincide con la coscienza oggettiva, o, detto in altro modo, quando la critica oggettiva riesce a trasformare la falsa coscienza proletaria (poiché questa esiste anche in forma di economicismo, sindacalismo, operaismo e spontaneismo ideologico in generale), la coscienza proletaria diventa rivoluzionaria, `coscienza -in parole di Marx- per sé stessa . In questo modo, il proletariato può sviluppare la sua pratica sociale soggettiva nella stessa direzione che la tendenza del processo sociale oggettivo. È, quindi, in questo momento quando la coscienza ricupera la sua unità con la materia sociale sotto la forma di proletariato rivoluzionario . Il proletariato rivoluzionario è il ritorno della fusione teoria-pratica marxista ( prassi ) ricuperata in un livello superiore come prassi rivoluzionaria . Da questo punto comincia a rivelarsi il terzo pilastro del pensiero marxiano; il pilastro o asse che riguarda uno dei momenti culminanti dello sviluppo del marxismo come concezione del mondo: il momento della autocoscienza dell’essere sociale .
L’autocoscienza presuppone l’identificazione del processo sociale con il soggetto rivoluzionario. Il processo d’accumulazione capitalista crea le condizioni per quest’identificazione al distruggere le basi della produzione individuale, al socializzare le forze produttive e tutte le sfere delle relazioni sociali (addirittura, con le società anonime, la proprietà privata diventa sociale , nel senso che si dissolvono i meccanismi di appropriazione individuale del prodotto sociale), ed al proletarizzare la gran maggioranza dell’umanità, cioè, al confrontare radicalmente l’umanità espropriata e sfruttata, in un polo, con il capitale, che concentra e detiene la totalità dei mezzi di produzione, nell’altro. Marx dimostra che l’attuale polarizzazione sociale fra proprietari ed espropriati è un prodotto storico, risultato del progressivo processo di espropriazione dell’umanità dai suoi mezzi e dalle sue condizioni di esistenza nel corso della storia della divisione sociale del lavoro, del sorgimento e sviluppo delle classi e della lotta fra di esse. In questo modo, l’autocoscienza può essere definita come l’aspetto soggettivo della pratica sociale quando il soggetto occupa la posizione sociale oggettivamente adatta per la pratica rivoluzionaria, quando questa pratica comporta una pratica emancipatrice universale. In altre parole, quado l’appropriazione delle sue condizioni di esistenza come classe oppressa e come classe rivoluzionaria rappresenta l’abolizione della propria società organizzata in classi, e, per tanto, l’emancipazione di tutta l’umanità dai flagelli della società di classi. In questo processo, il proletariato è, allo stesso tempo, soggetto e oggetto della trasformazione sociale: soggetto, poiché acquisisce il grado di coscienza per sé ; oggetto, poiché il movimento retto e diretto dall’autocoscienza (coscienza per sé ) è un movimento di trasformazione di sé stesso come classe che rappresenta la totalità sociale (l’umanità storica e socialmente determinata come classe operaia) e cui terreno di sviluppo è la lotta di classi (unico contesto che ne può procurare l’elevazione cosciente del proletariato fino la sua autocoscienza), un movimento di autotrasformazione del proletariato da classe sfruttata fino a umanità emancipata . Il processo sociale si presenta, allora, come progresso universale dove la fusione fra teoria e pratica si concentra come prassi rivoluzionaria del proletariato in un processo di autoemancipazione , nel quale il soggetto cosciente non può più riferirsi all’attività critica oggettiva, staccata dall’attività pratica, ma alla stessa attività pratica cosciente come principale attributo del processo rivoluzionario di autotrasformazione del proletariato. In questo modo, Marx supera definitivamente la vecchia idea del soggetto cosciente inteso come individualità intellettuale -e che trovava ancora certo margine di legittimità nell’accezione del suo pensiero come materialismo storico, come metodo materialista della storia- alleata ma staccata dal movimento sociale pratico. Marx priva l’intellettuale borghese della sua investitura di fiammante depositario dell’attività soggettiva cosciente e fonde questo attributo, nel seno di un’entità sociale, il proletariato, con il suo movimento pratico trasformandolo in movimento rivoluzionario. Il proletariato diventa così, in una formazione sociale cosciente, in un intellettuale collettivo; è un soggetto cosciente allo stesso tempo che la stessa materia del movimento sociale. Il proletariato cosciente della sua posizione nella società capitalista e del suo ruolo storico ( autocoscienza ), può, dunque, iniziare il processo rivoluzionario necessario per compiere quel ruolo, processo che non è altro che la propria trasformazione di classe sottomessa in umanità liberata (Comunismo) attraverso la sua lotta di classe ( autotrasformazione ). La classe oppressa, finalmente e per prima volta nella storia, non ha bisogno di salvatori o di rappresentanti che assicurino la sua liberazione: il proletariato può ormai emancipare sé stesso ( autoemancipazione ). Così rimane completamente definito il terzo pilastro del pensiero marxista, la nozione di prassi rivoluzionaria .
Il periplo intellettuale del Marx proletario comincia, quindi, con la costruzione concettuale attorno all’idea di prassi e culmina con la sintesi di prassi rivoluzionaria . La prima stabilisce la concezione rivoluzionaria del mondo in un piano generale, filosofico o persino scientifico; la seconda imprime essa nel piano attuale, nella politica. Infine, tutto questo sviluppo teorico rimane riassunto in un’asserzione, una specie di mandato che possiamo nominare come l’ imperativo categorico marxista:
“ I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di trasformarlo .”8
L’XI tesi su Feuerbach sintetizza genialmente la concezione rivoluzionaria del mondo che è il marxismo. Ciononostante, il fatto della sua formulazione nei termini in cui è stata realizzata esprime inoltre la contraddizione ei limiti dell’opera di Marx. Effettivamente, il modo vocativo in cui è formulata questa tesi indica di per sé un anacronismo reale fra teoria e pratica. Allo stesso modo, il contenuto della tesi mostra anche una separazione fra il momento della comprensione della necessità della trasformazione del mondo ed il momento dell’ atto di quella trasformazione. Il che non corrisponde con la nozione marxiana di prassi rivoluzionaria , per la quale il momento teorico non è staccato dal momento della pratica. Tutto ciò indica che, nei fatti , nel pensiero proletario, così come lo lascia elaborato Marx (con la collaborazione di Engels), la coscienza ha sperimentato una trasformazione nel contenuto , in quanto concezione del mondo, però non ne è accaduto allo stesso tempo che lo spostamento della sua posizione nei confronti della pratica; o, meglio, è vero che si è prodotto uno spostamento verso la pratica, ma soltanto nella sfera della teoria , non nella pratica viva e reale, nella pratica materiale. Questa desincronizzazione fra la posizione raggiunta dalla coscienza nella teoria (unità con la pratica come prassi rivoluzionaria ) e la sua relazione reale nella pratica (la coscienza che comprende che deve fondersi con il movimento pratico reale, ma che non ne ha consumato ancora quel passo) è ciò che spiega la necessità, da parte di Marx, di una formulazione categorica -quasi come un imperativo etico- come richiamo all’azione pratica. In alcun modo, in quanto alla forma , Marx non può ultimare il punto di vista del proletariato oltre lo strumentale discorsivo di una forma in più di filosofia dell’azione. Ed in questo consiste la principale contraddizione del pensiero marxiano: un corpus concettuale classista proletario e rivoluzionario dentro un involucro borghese. Il richiamo a rivoluzionare il mondo senza poter farlo significa che il pensiero proletario, fino il punto in cui lo sviluppano Marx ed Engels, possiede ancora un piede nel terreno politico della borghesia e nel terreno delle forme del pensiero borghese. Questo è il suo limite come strumento pratico per il proletariato e la sua lotta di classe. Alla fine, questo limite non è altro che il risultato -logico e comprensibile per qualsiasi materialista- di costruire una nuova concezione del mondo ed un nuovo modo di pensare rivoluzionario tramite l’unica forma possibile: con i vecchi materiali teorici e concettuali ereditati e sulla base del antico universo intellettuale. Lungo la sua carriera, Marx capì e assunse che “l’arma della critica non può sostituire la critica delle armi”9. Infatti, lui era passato, lungo la sua esperienza, dal primo principio ( la critica come arma ) al secondo ( le armi come critica , ossia, l’ imperativo della rivoluzione), e questo è, certamente, il senso che ne ha l’ultima tesi su Feuerbach: la critica delle armi come formula espressiva della critica rivoluzionaria . Critica rivoluzionaria, ma non ancora pratica rivoluzionaria . Marx non riesce a dare l’ultimo passo dalla critica delle armi alla presa delle armi ; lascia la rivoluzione formulata come necessità teorica, come coscienza soggettiva, come programma politico , ma non come movimento politico reale .
Il limite con cui si incontra il pensiero di Marx implica la non realizzazione pratica della prassi rivoluzionaria , che rimane come una semplice formulazione teorica. La conseguenza è un nuovo ripiegamento teorico-concettuale della coscienza fino le posizioni della critica rivoluzionaria . La prassi rivoluzionaria esige una concrezione materiale, incarnarsi come movimento politico pratico, poiché essa è la rivoluzione in actu . Se questo non accade, non ne avrà luogo la realizzazione di quella prassi come fusione materiale fra teoria e pratica sociale, e le nozioni di prassi e di rivoluzione soltanto saranno forme del pensiero o stati della coscienza teorica. La prassi rivoluzionaria è il proletariato rivoluzionario (vale a dire, il proletariato svolgendo la sua lotta di classe rivoluzionaria), e nell’epoca di Marx le diverse circostanze storiche e politiche, oggettive e soggettive, impedirono la sua realizzazione, soprattutto -considerando l’esperienza della Comune di Parigi-, la sua realizzazione sistematica (cioè, pianificata e cosciente, e non sporadica ed spontanea, come accadde nel episodio communard ), malgrado gli sforzi di Marx ed Engels per trovare forme per la sua realizzazione, come dimostrano le loro attività nella Lega dei Comunisti e nell’AIL e la loro stretta relazione con il movimento operaio europeo, in generale, e con il movimento socialista tedesco, in particolare. Però, il loro fracasso segnò la riduzione della prassi rivoluzionaria , destinata al terreno dell’attività materiale, alla categoria di critica rivoluzionaria , racchiusa nella sfera della coscienza teorica, la quale, da sua parte, come esponente della non realizzazione materiale della fusione teoretica-prasseologica all’interno del proletariato che ne è, appunto, la prassi rivoluzionaria , pone in rilievo un modo di relazione esterna fra teoria e pratica, e, per tanto, un modo criticista, borghese, dello stato della coscienza. Come critica rivoluzionaria , la coscienza adotta una posizione gnoseologica di carattere borghese, perché ne è una forma in più della critica oggettiva ; ma ne è anche la sua forma più elevata.
La critica rivoluzionaria è la critica oggettiva che osserva la realtà dalla assunzione della concezione rivoluzionaria (proletaria) del mondo. Per tanto, riconosce le necessità delle leggi dello sviluppo storico e delle relazioni sociali che quello sviluppo ha finito per raggiungere, ma ne stabilisce anche la necessità di trasformarle, rivoluzionandole. Questa è la posizione della critica rivoluzionaria . A differenza della posizione critico-oggettiva rappresentata dal materialismo storico, posizione della coscienza che permetteva ancora l’esercizio accademico borghese dell’interpretazione della storia come se fosse una scienza sociale in più, la posizione critico-oggettiva espressa come critica rivoluzionaria chiude completamente questa possibilità e qualsiasi altra che pretenda rompere l’unità esistente fra il processo sociale e la rivoluzione sociale, che ne svincoli lo sviluppo storico come scenario della lotta di classi dalla sua soluzione nel Comunismo, o che ne persegua la rottura dei legami fra il passato e il futuro dell’umanità. La critica rivoluzionaria è la posizione critica della coscienza quando questa ne riconosce ed assimila completamente la necessità della prassi rivoluzionaria come momento teorico per l’attività intellettuale soggettiva; al contrario che il materialismo storico, che ne risulta un momento teorico precedente nella costruzione cosmologica marxista, e che, per tanto, la sua attività critica non necessariamente è vincolata con l’attività rivoluzionaria di trasformazione dell’oggetto che critica. Nei fatti, la critica rivoluzionaria è l’attività teorica del soggetto cosciente che dimostra, in modo sistematico, tramite tutti i mezzi e da tutte le prospettive, la necessità della rivoluzione come soluzione delle contraddizioni sociali, la necessità che il processo oggettivo culmini nella prassi rivoluzionaria come unica e vera soluzione. La critica rivoluzionaria si appoggia, a tale scopo, nel bagaglio scientifico e teoretico-concettuale del marxismo -compreso il materialismo storico-, ma dandogli, in questo caso, il senso direzionale -verso la rivoluzione proletaria e il Comunismo- che ne risulta dal contenuto fondamentale del marxismo come concezione del mondo del proletariato: un contenuto essenzialmente rivoluzionario. Per questo motivo, la finalità della critica rivoluzionaria è l’attività pratica, non il puro sapere teorico, che soltanto ne è un mezzo per tale scopo. La critica rivoluzionaria esprime, così, una posizione della coscienza come attività soggettiva indirizzata verso la pratica, e non come attività teorica intellettiva. Per questo motivo, è anche il prodotto di questa attività cosciente ciò che può configurarsi come quello che Lenin definì come teoria d’avanguardia . Soltanto una concezione teorica del mondo organizzata e sviluppata per porre le basi ideologiche della trasformazione di quel mondo può trovarsi alla testa di quella trasformazione; soltanto quando la coscienza è raggiunta ed ha adottato la posizione gnoseologica della critica rivoluzionaria può essere in grado di fondersi con il processo sociale per formare un tutto in permanete mutua trasformazione (del mondo e delle idee) fino raggiungere il Comunismo ( prassi rivoluzionaria ). Infatti, la parte più importante e di maggior valore del legato di Marx ed Engels è, precisamente, l’insieme dei lavori teorici che, raccolti, costituiscono ciò che potremmo chiamare dottrina critico-rivoluzionaria , quel monumentale sforzo intellettuale per dimostrare la necessità teorica e pratica della rivoluzione da diversi angoli, tutti quelli che poterono coprire: l’economia, con la loro opera magna, Il Capitale ; la politica e la storia: edizione della Gazzetta Renana , Il 18 brumario di Luigi Bonaparte , La guerra civile in Francia , L’origine della famiglia, la proprietà privata e lo Stato ed un lungo eccetera; e, addirittura, la scienza, con l’ Anti-Dühring e il suo interesse per vincolare i risultati delle scienze con la concezione materialista della storia ( Dialettica della Natura ).
Come tutta realtà materiale, il marxismo si sviluppa tramite le sue contraddizioni interne. E la contraddizione fondamentale, di fondo, fra l’imperativo categorico marxista e la sua concezione rivoluzionaria del mondo, quella contraddizione che si presenta ancora nel pensiero di Marx come una espressione particolare della vecchia opposizione tra l’ essere (movimento sociale) e dover essere (rivoluzione sociale) -dualismo che, certamente, è la prova che non ne è stato ancora sorpassato completamente il marco del pensiero e della pratica borghese-, non si supererà fin che Lenin ei bolscevichi ne formulino e ne diano un contenuto reale ai contorni del partito proletario di nuovo tipo .
Marx aveva identificato la prassi rivoluzionaria con il proletariato rivoluzionario, ma in astratto, intendendo il movimento di emancipazione della classe come movimento politico generale, senza poter ancora definire né descrivere i suoi modi né il procedere del suo svolgimento, precisamente perché quel movimento non era ancora sufficientemente maturo a causa di quelle circostanze oggettive e soggettive proprie della sua epoca, un’epoca che potremmo definire come di transizione, con una borghesia che vedeva esaurirsi le sue energie rivoluzionarie ed un giovane proletariato che non era ancora in condizioni di prendere la staffetta storica della rivoluzione sociale. L’epoca di Lenin, invece, è quella dell’entrata del capitalismo nella sua fase imperialista e della maturazione delle condizioni per l’organizzazione del proletariato come classe rivoluzionaria. L’epoca di Lenin è quella dei primi colpi su larga scala del proletariato contro il capitale (vittorie del fronte elettorale in Germania, Prima Rivoluzione russa del 1905, …), è l’epoca della nascita del movimento proletario come movimento rivoluzionario. Grazie a ciò, Lenin può osservare il proletariato rivoluzionario in forma concreta, ne ha la possibilità di studiare in maniera specifica e oggettiva le forme che quel movimento acquisisce nella realtà. Il risultato è lo sviluppo in quanto i suoi contenuti del significato della nozione marxista di prassi rivoluzionaria . Se Marx formulava il senso generale di proletariato rivoluzionario , Lenin riesce a concretizzarlo fino identificarlo con il concetto di partito di nuovo tipo proletario o Partito Comunista. Oppure, se si desidera, detto in altro modo: Lenin identifica i concetti di proletariato rivoluzionario e di Partito Comunista . Marx non raggiunge quel punto: nel Manifesto non riesce a farcela -anche se intuisce ormai genialmente il carattere d’avanguardia dei comunisti dentro il movimento operaio- poiché non disponeva dell’esperienza posteriore del proletariato internazionale sulla quale si basò Lenin, principalmente la comprensione del meccanismo interno che regge lo sviluppo storico della classe -la sua particolare dialettica- tramite la contraddizione avanguardia-masse, e, dall’altra parte, la scissione storica e fondamentale per il significato che ne acquisì fra la linea rivoluzionaria e la linea opportunista all’interno del movimento operaio internazionale. Lo studio e la sintesi dei nuovi e trascendenti eventi della storia del proletariato fu ciò che rese possibile che Lenin desse un contenuto reale e concreto alla nozione di prassi rivoluzionaria .
Il concetto marxista di prassi rivoluzionaria come fusione di teoria e pratica trova la sua materializzazione nel proietto leninista del partito proletario come prodotto della fusione fra teoria rivoluzionaria marxista ( critica rivoluzionaria ) e movimento operaio . Questa è la formulazione che utilizza Lenin per delimitare nella realtà le condizioni dell’unità marxista fra teoria e pratica. E questa concezione è, inoltre, una costante nella sua carriera politica. Già nel 1899 Lenin chiariva ciò che per lui costituiva il partito del proletariato:
“ Il distacco esistente fra movimento operaio e socialismo rendeva deboli entrambi, ostacolandone lo sviluppo: le dottrine dei socialisti, non essendo fuse con la lotta operaia, rimanevano mere utopie, pii desideri senza alcuna influenza sulla vita reale; il movimento operaio restava un fenomeno ristretto, frazionato, non assumeva importanza politica, non era illuminato dalla scienza d'avanguardia del suo tempo. Vediamo perciò che in tutti i paesi europei si è andata manifestando con sempre maggior forza la tendenza a fondere socialismo e movimento operaio in un unico movimento socialdemocratico . Con questa fusione la lotta di classe degli operai si trasforma in lotta cosciente del proletariato per la sua emancipazione dallo sfruttamento operato ai suoi danni dalle classi abbienti e si sviluppa la forma suprema del movimento operaio socialista: il partito socialdemocratico operaio autonomo ."10
Agli stessi inizi della sua carriera, quindi, Lenin ne ha già ordinati gli elementi configuratori della prassi rivoluzionaria marxista che permetteranno la loro realizzazione materiale pratica. Il leninismo può costruire l’edificio politico della prassi rivoluzionaria -il partito di nuovo tipo- grazie alle favorevoli condizioni oggettive che coltiva l’imperialismo, ma, soprattutto e dal punto di vista soggettivo, grazie alla base teorica legata da Marx ed Engels, in modo che la teoria leninista della relazione fra la coscienza e il movimento sociale può camminare già con i piedi sul terreno proletario: non soltanto nei confronti del contenuto di quella relazione, ma anche in quanto alla forma che raccoglie la concezione ideologica del mondo proletaria. Con Lenin e con il partito leninista non soltanto il pensiero rivoluzionario si corrisponde ormai con la concezione del mondo proletaria, ma anche il linguaggio con cui si parla e nel quale si esprime quel pensiero. E questo linguaggio è, precisamente, il movimento comunista (meglio che “socialdemocratico”), vale a dire, “la forma superiore del movimento operaio”, in altre parole, il Partito Comunista11.
Ventun anni dopo, in piena maturità intellettuale e con una lunga esperienza sulle sue spalle, sufficiente per aver contrastato con la realtà i criteri di gioventù, Lenin stabilisce di nuovo, anche se in modo collaterale nel mezzo del dibattito contro l’estremismo nella Comintern, ciò che per lui era l’essenza del Partito:
“ Quando incominciò a svilupparsi la forma suprema dell'unione di classe dei proletari, il partito rivoluzionario del proletariato (il quale non sarà degno del suo nome finché non imparerà ad unire i capi con la classe e con le masse, in un tutto unico, in qualche cosa di inseparabile), i sindacati incominciarono inevitabilmente a rivelare alcuni tratti reazionari [..].”12
L’unione dell’avanguardia con le masse, la loro fusione , è e ne è stato sempre l’idea determinante del partito di tipo leninista; e la consacrazione, in virtù di quell’ “unione inseparabile”, di “un tutto unico”, di una nuova totalità sociale in cui prende corpo il modo proletario di trasformazione rivoluzionaria del mondo. La fusione fra teoria e pratica, dell’avanguardia e il movimento, della coscienza e l’essere sociale è il proletariato rivoluzionario, il proletariato organizzato nella sua forma superiore di movimento, che sorge, allora, come la forma superiore del movimento sociale , e, a sua volta, come totalità sociale organica in processo di trasformazione, come movimento della società in processo di autotrasformazione. In questo modo, la coscienza adotta, alla fine, la vera posizione proletaria, quella del soggetto della trasformazione rivoluzionaria del mondo, quando quel soggetto è lo stesso oggetto della sua trasformazione. La coscienza per sé del proletariato è, quindi, coscienza interna del movimento sociale, ne è premessa e risultato della trasformazione del mondo e permanente rivoluzionarizzazoine ideologica dal mondo in rivoluzione permanente. È così come il Partito Comunista leninista esprime il modo storicamente superiore dello stato di coscienza, stato che corrisponde, naturalmente, con la forma superiore del movimento sociale anche a scala storica.
La Tesi di Ricostituzione del Partito Comunista si basa in questa visione della relazione fra l’essere e la coscienza e nella necessità che questa addotti una determinata posizione rispetto a quello, posizione che è anche un prodotto storico. È questa, inoltre, il motivo ultimo per cui quella tesi politica si oppone a tutte quelle teorie del Partito Comunista che presuppongono una posizione premarxista, borghese, della coscienza, concezione che controlla la maggioranza dei gruppi comunisti, che generalmente intendono il Partito soltanto come avanguardia, come coscienza esterna al movimento sociale.
La Tesi di Ricostituzione si sostiene anche sull’idea leninista che non esiste un proletariato rivoluzionario -e, per tanto, movimento rivoluzionario- fuori dal Partito Comunista; il che comporta la differenziazione qualitativa, dal punto di vista della politica proletaria, di una tappa di Ricostituzione di quel partito dalle altre in cui esso attua politicamente. Di questo si deduce, quindi, che esistono due stati della coscienza rivoluzionaria o comunista: uno precedente ed uno posteriore alla Ricostituzione del Partito Comunista. La precedente analisi dell’evoluzione del pensiero marxista-leninista ci indica, inoltre, che quei diversi stati della coscienza corrispondono a due posizioni diverse della stessa relazione con la pratica. In questo modo, la coscienza rivoluzionaria soltanto può attuare come critica rivoluzionaria finché non esista il Partito Comunista, e soltanto come prassi rivoluzionaria in quanto Partito Comunista. In fine, a seconda delle caratteristiche proprie di queste posizioni diverse della coscienza -che ne abbiamo ormai studiato- e considerando che la tappa politica della Ricostituzione del Partito Comunista forma parte integrante del suo processo storico di costruzione, processo che è parallelo a quello della Rivoluzione, deduciamo che, dal punto di vista storico, ci troviamo attualmente nella fase borghese della costruzione del Partito Comunista (fase che è quella che corrisponde, in generale, alla preparazione della Rivoluzione -oppure a quella della preparazione del Partito della Rivoluzione, alla fase di Ricostituzione).
Non dobbiamo preoccuparci per queste considerazioni attorno il carattere del momento storico in cui ci troviamo, anzi, ne dobbiamo prendere coscienza di questo fatto. L’analisi dell’evoluzione del pensiero marxista ci ha dimostrato che il suo origine è, allo stesso modo, borghese. Non ci deve spaventare, quindi, che si parli dell’origine borghese degli strumenti politici del proletariato, compreso il suo partito rivoluzionario. Con quello, non soltanto ci manterremo con fermezza posizionati nel corretto punto di vista materialista, allontanati dal purismo operaista così diffuso in passato e nel presente delle organizzazioni d’avanguardia, ma eleveremo anche l’idea di partito proletario al di sopra del volgare obbiettivo sia del partito elettoralista o cospirativo abituale nella nostra tradizione storica, come del risultante partito della semplice unificazione comunista , così comune oggi. Poiché questi sono effettivamente partiti completamente borghesi. Partiti fatti in modo volontarioso una volta per sempre , nel cui piano di costituzione non entra la considerazione dello stato di coscienza del proletariato rivoluzionario (cioè, se questo stato corrisponde alla visione del mondo proletaria o borghese), poiché quel piano ne fu elaborato indipendentemente dallo stato del movimento di quel proletariato rivoluzionario, vale a dire, indipendentemente della visione leninista del partito di nuovo tipo proletario.
Il fatto che il punto di vista materialista sull’origine borghese degli strumenti politici del proletariato non fosse chiaramente spiegato lungo il Primo Ciclo Rivoluzionario ha le sue origini nelle caratteristiche proprie del Ciclo. Soprattutto dal fatto che, da un lato, la maggioranza dei partiti comunisti nacquero quando il processo rivoluzionario era all’offensiva nel piano internazionale, semplificandosi o semplicemente saltandosi la lunga tappa di costituzione politica intesa come un prolungato periodo di accumulazione di forze del proletariato rivoluzionario; e che, dall’altro, nell’esperienza bolscevica, in primo luogo, sempre si mise l’accento più nella contraddizione con il menscevismo e nel salto qualitativo che implicava il partito leninista nei confronti della tradizione socialdemocratica ( partito di masse ) che rappresentava quello, senza appena prestare attenzione all’altro aspetto, altresì importante, del vincolo d’origine nello sviluppo e la trasformazione della socialdemocrazia in bolscevismo, e, in secondo luogo, del partito di nuovo tipo che non ne era sorto dal primo momento come un piano indipendente di costruzione politica separato dal modello del partito operaio classico della II Internazionale, ma che era un piano al quale si incorporavano gradualmente gli elementi differenziatori fino la necessaria scissione fra entrambi modelli. Questo fece che, in avanti, si aderisca alla corretta tesi leninista della necessaria costituzione politica del proletariato rivoluzionario indipendentemente del partito operaio borghese l’incorretta percezione che ne è negativo o inammissibile ogni vincolo -anche se esso è originario- del proletariato con ciò che è borghese. Però una cosa è pretendere sviluppare il partito operaio rivoluzionario partendo dal partito operaio borghese, il che ne è erroneo, ed un’altra totalmente diversa pretendere costruire il proletariato rivoluzionario da basi proletarie configurate completamente in precedenza, il che ne è un assurdo idealista13. Storicamente, come ne abbiamo già segnalato, è con Lenin che il proletariato può realizzare una politica propria della sua natura di classe in quanto forma ed in quanto contenuto; ma questo sarebbe stato impossibile senza il precedente lavoro realizzato da Marx ed Engels, senza le premesse che entrambi seppero stabilire principalmente nel piano teorico ed intellettuale. Nell’ambito politico, da sua parte, tutto il processo di costruzione proletaria di nuova pianta, dovunque e qualora sia che ciò avvenga, deve sostenersi, almeno nelle sue fasi preliminari, su elementi preesistenti, ossia, passati, di vecchio stampo, borghesi, in definitiva. È la corretta organizzazione ed il raggruppamento adeguato della disposizione del compimento dei compiti del comunismo ciò che permetterà che ne servano di base per creare qualcosa di nuovo e più elevato, in modo che lo sviluppo crei le condizioni perché il movimento rivoluzionario generi nuove basi di classe proletaria dalle quali ne riproduca il suo svolgimento futuro. Nell’attualità e sotto le condizioni politiche dominanti, ogni pretensione di costruire il comunismo da premesse proletarie presumibilmente prestabilite ne è una fallacia. Tuttavia, lungo il Ciclo d’Ottobre, anche se ne passò inosservato nella questione della costruzione del Partito, ne esistette l’occasione per riconoscere il problema genetico dell’origine borghese di ciò che è proletario quando gli imperativi della rivoluzione sovietica misero all’ordine del giorno la questione dello Stato come strumento politico del proletariato. E, qua, la chiara conclusione di Lenin ne fu abbastanza precisa: la Dittatura del Proletariato è uno Stato borghese senza borghesia . In effetti, quando l’avanguardia proletaria affrontò l’analisi della nuova fase della rivoluzione in condizioni d’indipendenza politica -dalla quale non poté avvalersi lungo tutto il periodo della tappa di costituzione del Partito-, attrezzata con la concezione del mondo materialista e dialettica, ne riuscì a scoprire il necessario origine borghese dello Stato di dominazione del proletariato.
Però, ritornando nella tappa che oggi ci occupa, la tappa della Ricostituzione del Partito Comunista, quali sono quei elementi di vecchia stampa sui quali dobbiamo costruire il nuovo? Non sono altri che quelli che conformano il Piano di Ricostituzione. Certamente, i diversi compiti politici che dalla fine del 1993 configurano il nostro Piano e che adesso, dopo parecchi anni di esperienza e di valutare alla luce della pratica l’importanza e le dimensioni di ognuno di essi, abbiamo finito di organizzare ed ordinare gerarchicamente, in modo che il suo compimento successivo ci dia le basi ideologiche, politiche ed organizzative imprescindibili per dare il salto qualitativo verso il nuovo, verso ciò che non esiste ancora neppure nei suoi tratti primordiali (il Partito Comunista), sono gli elementi di base che la società borghese ci offre e che prendiamo come i primi materiali di costruzione del nuovo edificio politico del proletariato. Non dobbiamo, quindi, perdere la prospettiva, né confondere il terreno sul quale camminiamo adesso; dobbiamo sapere riconoscere che i mezzi e gli strumenti che possediamo adesso sono di carattere essenzialmente borghese; sia la Bildung , come l’idea dell’ università operaia o la costruzione di quadri individuali, così come la formazione nella scienza e l’investigazione o l’attività di propaganda ideologica e politica, così come la esercitiamo oggi, ecc., sono, per la loro forma e il loro contenuto -ma soprattutto per la forma- modi e procedure che si inglobano dentro il marco borghese di attività, in quanto che tutti quanti ci installano in una posizione di contemplazione ed interpretazione critica del mondo, che, anche se rivoluzionari, non permettono la trasformazione materiale; modi di procedura necessari come presupposti per quella trasformazione, ma insufficienti dal punto di vista dell’attività propriamente proletaria. Il fatto che tutta l’attività politica dell’avanguardia durante la tappa di Ricostituzione e che tutto il Piano di Ricostituzione girino attorno alla critica rivoluzionaria , e che entrambi possano ridursi concettualmente in questa come la miglior definizione del loro fondamento più essenziale, oltre a costituire l’asse del loro sviluppo nelle loro diverse fasi (quella critica, per tanto, addotta diverse forme e modi a seconda della fase o il momento), è l’indizio più eloquente del carattere della tappa politica in cui ci troviamo, soprattutto se ne abbiamo in considerazione il ruolo che la critica rivoluzionaria gioca nello sviluppo del marxismo e se ci permettiamo stabilire un parallelismo con lo sviluppo della costruzione del Partito: se la critica rivoluzionaria (attività semiborghese) non è ancora prassi rivoluzionaria (attività pienamente proletaria), il carattere dei compiti della Ricostituzione non può essere identico al carattere dei compiti della Rivoluzione (anche se, storicamente , riconosciamo la Ricostituzione come la prima fase della Rivoluzione; comunque politicamente non è così).
Il nostro piano pretende svilupparne i Principi del comunismo fino il Programma della rivoluzione comunista, ovvero, persegue la conquista dell’avanguardia per il comunismo. Ebbene, questo non è altro che la conquista dei diversi settori di quell’avanguardia -prima, quelli più coscienti e più preparati teorica ed intellettualmente, e, dopo, i dirigenti pratici- dalla critica rivoluzionaria , dalla necessità dimostrata della Rivoluzione Proletaria, non ancora dalla attualità della rivoluzione, come stabilirebbe un contesto politico di sviluppo della prassi rivoluzionaria . In sintesi, si trattano di strumenti politici che ci permettono e alla volta limitano la nostra attività all’interno dell’avanguardia, che non ci permettono ancora di attuare all’interno del movimento di masse . Questo ultimo è soltanto possibile come Partito Comunista ricostituito. Uno dei grandi problemi del movimento comunista nei ultimi decenni è il fatto che non ne ha compreso la differenza qualitativa fra i mezzi e gli strumenti politici possibili nella tappa prepartito ei mezzi e gli strumenti necessari in un Partito Comunista. Per questo motivo, si è caduto nell’errore di credere in varie occasioni di aver ricostituito il Partito, quando, in realtà, soltanto è stato possibile dotare l’avanguardia, al massimo, degli strumenti politici disponibili nella sua fase borghese di costruzione, quelli che soltanto permettono iniziare la Ricostituzione. La conseguenza logica è che quando uno si dirige verso il proletariato mostrandosi come il partito di nuovo tipo proletario, soltanto gli è stato mostrato un partito di nuovo tipo borghese . I risultati sono stati evidenti (linea politica borghese) ed il loro fracasso, naturale.
Il carattere degli strumenti politici dei quali può dotarsi l’avanguardia proletaria nella fase della Ricostituzione del Partito Comunista indicano, naturalmente, il terreno sopra il quale quei mezzi permettono svolgere l’attività rivoluzionaria. Ne abbiamo mostrato ormai che questo terreno si limita al marco dell’avanguardia; però, quale è il motivo di fondo per il quale il carattere della fase attuale del processo di costruzione del Partito pone un limite all’attività dell’avanguardia? Il motivo risiede, precisamente, nelle possibilità di quell’attività come attività rivoluzionaria.
Effettivamente, il regno della critica rivoluzionaria , pilastro della costruzione partitaria nella tappa di Ricostituzione, è il regno della critica oggettiva , della critica razionale. Questo suppone che il suo oggetto non ne può essere altro che la coscienza, e, dal punto di vista del mezzo materiale, la sua scala può essere soltanto individuale. In altre parole, nella tappa di Ricostituzione, dovuto al carattere degli strumenti e dei metodi dei quali essa dispone, soltanto esistono condizioni per rivoluzionare le coscienze . Naturalmente, ne è un modo di rivoluzione , ma primitivo; infatti, ne è il modello rivoluzionario permesso dalla borghesia: prima si cambino le coscienze affinché cambi il mondo. Ne è il programma del riformismo borghese con il quale Marx polemizzò nella sua III tesi su Feuerbach14. Però risulta del tutto impossibile trasformare le coscienze di tutte le masse tramite la critica. La critica, la critica rivoluzionaria , rappresenta per il marxismo la forma primitiva, preproletaria, borghese della rivoluzionarizzazione del mondo; rivoluzione che consiste nella trasformazione immediata delle coscienze su scala individuale dopo quella critica. Per questo motivo, il marco di questa attività non può oltrepassare la scala individuale (persone o gruppi), e per questo motivo ne è il metodo principale quando l’obbiettivo del comunismo è l’avanguardia del proletariato . Però il marxismo ci insegna che:
“ […] per diffondere in massa una coscienza comunista in grado di portare avanti sé stessa, ne è necessario una trasformazione in massa degli uomini, che soltanto potrà raggiungersi mediante un movimento pratico, mediante una rivoluzione .”15
Per cambiare le menti su larga scala, quindi, devono cambiare prima le basi materiali che le generano. Questo è il programma rivoluzionario del proletariato. L’obiettivo di questo programma consiste anche nel trasformare le coscienze, ma soltanto nell’unico modo possibile: in maniera mediata , attraverso la trasformazione delle relazioni materiali imperanti nella società. Il marco di quest’attività, di conseguenza, esige un processo su scala sociale . Qui, non ne è ormai sufficiente la critica: è necessaria la politica come asse dell’attività rivoluzionaria. In questo modo, non si tratta più dell’individuo o del piccolo gruppo individualizzato, né della sua concezione teorica delle cose, ma invece le grandi masse diventano l’obbiettivo e il suo movimento pratico il marco della lotta di classi in tutta la sua dimensione. Ed è evidente che quella politica rivoluzionaria non ne può essere applicata da un altro che non siano il partito rivoluzionario dell’unica classe veramente rivoluzionaria: il partito di nuovo tipo leninista.
L’istrumento della critica è la dialettica razionale , e la sua base l’esperienza individuale, esperienza formata da un insieme di conoscenze teoriche e pratiche. La dialettica razionale cerca l’avvicinamento della coscienza verso la concezione rivoluzionaria del mondo mediante la persuasione, il dibattito, il contrasto teorico dell’esperienza pratica, ecc. Si tratta quindi, di un contesto limitato, che, dal punto divista dello sviluppo del comunismo e del movimento comunista, soltanto può essere inserito -per i suoi obbiettivi e i suoi mezzi- dentro il periodo storico di conquista dell’avanguardia in favore delle schiere della Rivoluzione Proletaria. Storicamente, si corrisponde con il modo propriamente borghese di attività politica, modo che ci porta indietro -se è possibile fare il parallelismo- all’epoca dei dibattiti nei caffè della borghesia rivoluzionaria. Quest’immagine può risultare distorta perché non perette di contemplare al completo l’importanza dell’aspetto pratico che nella dialettica razionale del proletariato (critica rivoluzionaria) accompagna sempre il confronto teorico, aspetto che si fonda nel posizionare come ultimo riferimento la pratica come criterio di verità16 ; tuttavia, ne è utile per mostrare il senso e la forma dominante dell’attività critico-razionale nella tappa prepartitaria della Ricostituzione, e, inoltre, per illustrare la differenza di fondo con il contesto dominante nella fase precostituitiva, nella quale predomina la dialettica sociale.
La dialettica sociale è il confronto fra le classi, terreno principale della politica . La politica, come asse centrale dell’attività del proletariato rivoluzionario organizzato in Partito Comunista, adotta come punto di partenza, non un determinato stato della coscienza individuale -come accadeva nella tappa dove l’attività girava attorno i problemi della Ricostituzione-, ma un determinato stato degli agenti sociali o dei soggetti storici che conformano la materia sociale, in definitiva, un determinato stato delle forze di classe come preambolo per la loro azione politica. Si parte, quindi, non da una disposizione soggettiva individuale dominante fra la maggioranza degli elementi o dei distaccamenti d’avanguardia, come accade durante la Ricostituzione, ma invece si adotta come punto di partenza la disposizione soggettiva sociale del proletariato come classe e, da quella disposizione, la sua posizione come soggetto politico dentro il contesto generale della correlazione di forze fra tutte le classi della società. In questo modo, è la pratica sociale il distintivo che da contenuto alla dialettica sociale dal punto di vista dello sviluppo rivoluzionario del proletariato, ed è mediante la pratica sociale che le masse della classe operaia trovano l’argine della loro trasformazione cosciente. Se la trasformazione della coscienza delle masse soltanto è possibile dalla trasformazione delle basi materiali della società che genera la loro falsa coscienza, la rivoluzione sociale, cioè la trasformazione delle relazioni sociali, soltanto ne è possibile tramite lo spostamento delle masse verso le schiere politiche del comunismo . Si controlli come non parliamo ancora di spostamento cosciente o premeditatamente rivoluzionario delle masse della classe verso il comunismo, bensì di spostamento politico . La storia della Rivoluzione Proletaria Mondiale dimostra che il movimento delle masse verso le posizioni d’avanguardia (il Partito Comunista) si realizza e soltanto può realizzarsi non dall’attività cosciente di quelle masse, bensì da spostamenti politici propiziati dall’avanguardia cosciente in funzione dei problemi concreti che implicano quelle masse e che sono posti nel centro stesso della lotta di classi dagli avvenimenti storici. Per questo motivo, è con la culminazione della Ricostituzione, quando l’avanguardia proletaria finisca di formulare il Programma della Rivoluzione, che saranno possibili le condizioni per cui il Partito Comunista potrà attuare ed influire sulle masse in questo senso. Soltanto la pratica sociale -come direbbe Lenin-, la propria esperienza delle masse permette il loro sviluppo politico e, con esso, le condizioni per la trasformazione del mondo come premessa per la trasformazione dell’umanità e il loro passo verso uno stadio nuovo e più elevato di civilizzazione, dove il divenire dipenda ormai pienamente dagli atti della volontà cosciente della collettività.
Si controlli, finalmente, che ne abbiamo separato a proposito -anche se nella pratica esiste un’indissolubile unità dialettica fra entrambi- trasformazione del mondo e trasformazione dell’umanità , con il fine di mostrare senza ambiguità che si tratta di un processo non meccanico: dalla trasformazione del mondo non sorge la trasformazione dell’umanità, della coscienza delle masse. Bisogna insistere nella formula di Marx “la trasformazione in massa degli uomini soltanto potrà raggiungersi mediante la rivoluzione”; vale a dire, si tratta soltanto di un mezzo , di una premessa , del contesto adeguato e necessario per trasformare le coscienze; ma la sola rivoluzione -specialmente la rivoluzione fatta dalla politica come riferente- non è una trasformazione. Il Partito comunista deve elevare le masse dalla coscienza politica verso la concezione rivoluzionaria del mondo attraverso la lotta di classi in tutte le sue forme ed ambiti.